Stéphane Peterhansel è il pilota più vittorioso al Rally Dakar: 14 volte in tutto delle quali 6 in moto e 8 in automobile. Quest'anno guida la Audi RS Q E-Tron, la prima auto elettrica nella storia della famoso rally raid

Stéphane Peterhansel (Audi): «Con la RS Q E-tron mi sono ricreduto sull’elettrico. E nel 2023 puntiamo a vincere»

di Nicola Desiderio
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Monsieur Dakar c’est moi! Stéphane Peterhansel non lo dice mai, ma lo dicono i numeri. Nessuno ha vinto 14 edizioni – e 80 tappe in totale! – della Dakar, 6 delle quali in moto (tutte con Yamaha) e 8 in automobile con Mitsubishi, Peugeot e Mini. E invece di appendere il casco al chiodo e togliersi finalmente dalle scarpe la sabbia di tutti i deserti che lo hanno visto sfrecciare, da questo anno è al volante dell’Audi RS Q E-Tron, l’auto più innovativa che la “sua” corsa abbia mai visto. E, nonostante non gli abbia dato ancora la vittoria, questa nuova avventura sportiva e tecnologica gli strappa un sorriso e un lampo negli occhi ben più giovani dei suoi 56 anni lasciando capire che la voglia di vincere c’è sempre.

Hai corso sempre con mezzi dotati di motore a combustioni interna e ora guidi invece un’auto a trazione elettrica. Quali sono le differenze e le sensazioni?

«Per prima cosa, sono davvero sorpreso delle prestazioni della vettura, specialmente sulle dune. Con l’elettrico la guida è più facile ed è più morbida: è come fare surf sulla sabbia e non c’è bisogno di agire sul cambio. Abbiamo sempre tanta potenza e coppia a disposizione sotto il piede e ci possiamo concentrare sulla traiettoria più giusta. È uno stile di guida diverso, molto interessante. Abbiamo avuto qualche problema tecnico, ma non riguarda assolutamente il sistema di propulsione mentre le prestazioni e l’affidabilità stanno andando oltre le nostre aspettative. Audi ha fatto davvero un lavoro incredibile.

Siete venuti alla Dakar essenzialmente per finire la gara, ma vi siete accorti che siete competitivi e avete anche vinto. Ora quali diventano i tuoi obiettivi?

«Penso che, viste le prestazioni della vettura, il nostro obiettivo per il prossimo anno è vincere la Dakar. Certo vincerla non è mai semplice e non dipende solo dal mezzo: basta un errore del pilota o del navigatore… ma penso che possiamo vincere il prossimo anno perché sono bastati solo alcuni mesi di collaudo senza mai correre per avere questo livello di prestazioni. Penso che, avendo un anno in più e con l’esperienza che stiamo facendo qui, saremo pronti per farlo».

Se anni fa, quando correvi con le moto, ti avessero chiesto di correre la Dakar con una moto elettrica, lo avresti fatto?

«Al momento non è possibile perché non c’è spazio su una moto per mettere una batteria sufficiente ad assicurare un’autonomia adeguata, neppure se pensiamo ad un convertitore di energia come c’è sulla mia RS Q E-tron. L’elettrico per le corse in moto, al momento, è possibile solo per il cross e gare da 20-30 minuti. Ma penso che, se fosse possibile, avrei gli stessi vantaggi che sto iniziando ad apprezzare sulla mia macchina. Ero abituato a pensare all’elettrico come qualcosa di noioso, privo di prestazioni ed invece mi sto rendendo conto che ci sono tanti vantaggi e non troppi svantaggi, autonomia a parte. E penso anche che, se un grosso costruttore di moto pensasse di fare una moto da cross elettrica, potrebbe renderla davvero competitiva».

Per quanto si è capito, la tua vettura è più pesante delle altre concorrenti, ma il baricentro è nettamente più basso. Quali sono in gara i vantaggi e gli svantaggi di questo pacchetto?

«Di sicuro, non ho mai guidato una macchina da gara con un baricentro così basso. Questo la rende molto più sicura, soprattutto nelle curve veloci e non ho mai la sensazione di trovarmi solo sulle due ruote esterne, neppure quando prendo un forte avvallamento o un ostacolo con le ruote interne. È vero: il peso della nostra macchina è più alto di circa 160 kg rispetto ai concorrenti e al limite di 2.000 kg indicato dalla FIA nel regolamento. Sulle curve più strette la massa si sente. Per questo Audi deve lavorare prima di tutto alla riduzione del peso perché è sempre un male per le prestazioni. Sappiamo che per ogni 100 kg in più, noi perdiamo 1,8 secondi al chilometro. Insomma, abbiamo bisogno di fare una bella dieta se vogliamo vincere davvero!»

Hai mai guidato un’auto con trasmissione automatica?

«No, mai. Ovviamente guidare senza dover pensare al cambio è più facile. Ma qui è ancora diverso: la trasmissione ha un solo rapporto e abbiamo da 0 fino a 170 km/h – il limite di velocità stabilito dal regolamento, ndr – con un’accelerazione perfettamente lineare. Dunque è ancora più facile che avere il cambio automatico e penso che sia un ulteriore vantaggio per le prestazioni, direi il meglio che si possa pensare».

È difficile avere un’idea della velocità con l’elettrico?

«La cosa più difficile a cui abituarsi è proprio abituarsi alla sconnessione che c’è tra la velocità e il motore a scoppio perché può entrare all’improvviso, comincia a girare a regime costante e rimane tale anche quando freni! Dunque è un po’ complicato convivere con questa sensazione, ma alla fine ci si abitua».

Quante volte e per quanto tempo il motore a scoppio si aziona durante ogni tappa?

«Normalmente, la metà del tempo. Ma quando affrontiamo le dune o la sabbia morbida, il 100% del tempo».

E quali sono gli effetti del recupero di energia nello stile di guida?

«È fantastico. L’elettrico ha effetti molto buoni in accelerazione, ma anche in decelerazione perché in rilascio il recupero di energia provoca un rallentamento forte, ma morbido e progressivo allo stesso tempo e soprattutto senza scomporre la macchina. Quando si frena con un’auto normale, le ruote posteriori si alleggeriscono e la vettura diventa instabile. Con il rallentamento “elettrico” invece sento tutte e 4 le ruote attaccate al terreno, lo stesso tipo di trazione che percepisco in accelerazione. E poi recuperiamo tanta energia: posso vederlo chiaramente dopo ogni rallentamento e ogni volta che freno».

Potete regolare il livello di recupero dell’energia durante la gara?

«No, abbiamo deciso il grado di recupero durante la fase di sviluppo ed è lo stesso per tutta la corsa. Inoltre, il grado di recupero dipende dalla velocità ed è evolutivo: è più intenso e concentrato di più sulle ruote posteriori alle andature più basse, è meno forte e distribuito di più su quelle posteriori quando si va più veloce».

E potete decidere invece sulla ripartizione della coppia sui due assali?

«Anche in quel caso non cambiamo nulla durante la gara e la quota di coppia sui due assali dipende dalla velocità. Dunque abbiamo più coppia sulle ruote posteriori alle basse velocità e ne trasferiamo di più alle anteriori quando andiamo più forte. E anche questo rappresenta un vantaggio ulteriore per le prestazioni con un potenziale che dobbiamo ancora investigare».

Le nuove vetture, con ruote molto grandi e carreggiate più larghe, appaiono spettacolari da ferme, ma non sembrano tanto veloci. Non pensi che avere 200 cavalli in più aiuterebbe lo spettacolo?

«Io penso che la FIA abbia preso un’altra direzione e guardi giustamente alla sicurezza. Per questo abbiamo una velocità limitata a 170 km/h».

Nella guida ti capita di usare il freno a mano?

«No, non mi è mai successo. Solo quando mi fermo dopo la gara. Oltretutto il nostro freno di stazionamento è elettrico».

Che cosa avete imparato in corsa sulla vettura?

«Tante cose. Avevamo provato tanto, ma non avevamo mai gareggiato prima della Dakar. E in gara spingi sempre un po’ di più. Diciamo che ci siamo accorti subito che il nostro punto più sensibile è il telaio, ma a questo ora possiamo lavorare solo in parte. Invece parliamo molto di come ottimizzare lo sfruttamento della potenza e ogni volta abbiamo lunghi debriefing con gli ingegneri per cercare di migliorare qualcosa».

Ti dispiace per il fatto di essere stato il più sfortunato tra i tuoi compagni di squadra?

«Questa è la Dakar, ma non sono dispiaciuto. Mi è successo che molti piloti mi abbiano aiutato in passato e ho fatto altrettanto con loro, con piacere. Inoltre il nostro obiettivo è arrivare alla fine e sviluppare la macchina, anche se ci piacerebbe vincere almeno una tappa. In ogni caso, tra noi piloti aiutarsi l’uno con l’altro è la cosa più importante, a cominciare dai compagni di squadra: siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo pensare al team».

Che cosa ha detto Carlos Sainz quando gli hai dato il tuo ammortizzatore per finire la gara?

«Ha detto: mi dispiace tanto Stéphane, ti ringrazio tanto! E io gli ho risposto: grazie per avermi dato un giorno di vacanza, ma ora ho bisogno di un po’ di crema per il sole visto che dovrò rimanere qui per alcune ore… È importante che ci sia questo spirito all’interno del team».

Che cosa pensi invece degli errori di navigazione dei primi giorni? Davvero è colpa dei roadbook forniti dall’organizzazione?

«Non posso rispondere su questo punto, ma so per esperienza che qualche volta il roadbook della Dakar non è perfetto. Inoltre, per ogni punto ci sono almeno 2 o 3 informazioni e occorre fare un mix per dare la giusta interpretazione sul da farsi ed evitare gli errori, che possono comunque esserci. Un roadbook è qualcosa da analizzare e interpretare: qualcuno è stato bravo tant’è che ha trovato subito la strada giusti, altri no. Oltretutto, un roadbook è ancora più difficile da fare per l’Arabia Saudita perché spesso ci troviamo nel deserto aperto e allora diventa molto complicato trovare i giusti riferimenti. Per questo dico: un roadbook perfetto è molto complicato e, se ci sono alcuni errori, devi accettarlo».

Audi ha portato un dream team di piloti qui alla Dakar, ma ve ne altri che corrono con altre squadre che stimi particolarmente?

«Mi piacciono molto Dani Roma, che è anche un mio buon amico, e anche Sebastien Loeb, ma alla fine credo che ci stimiamo tutti tra di noi e c’è un bello spirito perché non siamo in gara a lottare l’uno contro l’altro, ma ognuno contro il tempo e il cronometro. Noi non combattiamo direttamente ad ogni curva, ma contro il tempo. Questo spirito è una delle componenti che rende la Dakar molto speciale».

Guardando le altre macchine e sentendo il rumore dei motori, hai nostalgia del passato?

«No, penso che è passato e quando guido questa macchina non ne sento la mancanza».

Se dovessero chiederti due o tre cose per migliorare questa Dakar che cosa diresti?

«Di non fermare la corsa troppo spesso. È vero che la sicurezza è molto importante, ma è vero anche che non finire la tappa è assai frustrante per il pilota e per il team, dunque ci vuole il giusto equilibrio. Un’altra cosa è avere in calendario una gara che preceda la Dakar un po’ più corta e meno impegnativa in modo da arrivare alla Dakar preparati meglio. Ci sono altre gare interessanti nel deserto, ma sono troppo corte per verificare davvero ogni aspetto della vettura prima della gara più importante».

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Martedì 11 Gennaio 2022 - Ultimo aggiornamento: 13:29 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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