Intervista ad Allan McNish, team principal di Audi: «Competere è il mio sport»

​Intervista ad Allan McNish, team principal di Audi: «Competere è il mio sport»

di Nicola Desiderio
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Quel signore che al box dell’Audi segue la corsa in piedi appoggiato al monitor dal primo all’ultimo minuto è Allan McNish. E non è uno qualsiasi: ha corso 14 edizioni della 24 Ore di Le Mans vincendone 3 e finendo sul podio altre 6 volte. «La cosa più difficile per me è tenere a bada le mie passioni perché le gare sono intense e io sono un emotivo! A volte devo fermarmi e prendere un bel respiro».

Come ti sei sentito quando ti è stato offerto di essere il capo del team Audi in Formula E?
«Sorpreso. Avevo collaborato con Audi nella fase di avvicinamento, ma non avevo mai considerato di diventarne team principal. Io mi sento ancora un pilota, anche se senza casco. È per me comunque un’opportunità fantastica, una grande sfida. E io amo le sfide!»

Sei stato pilota, manager, commentatore TV e ora anche team principal. Qual è il lavoro più divertente?
«(ride) Il motorsport è il mio lavoro, da una vita. Avevo 11 anni quando ho cominciato a correre con i kart e ho sempre amato tutte le gare alle quali ho partecipato, cercando sempre di migliorarmi. Di sicuro, ci sono un sacco di differenze tra l’essere un pilota e un team principal: la prima è che non ti metti il casco, la seconda è che hai due possibilità di vincere, ma proprio per questo raddoppiano le responsabilità».

Sei stato il primo a vincere a Le Mans con un’auto ibrida nel 2012, e che si chiamava E-Tron. Quali furono allora le tue sensazioni?
«Nella mia carriera ho affrontato salti notevoli: ho corso prima con auto da corsa a benzina, con il diesel nel 2006, nel 2012 con l’ibrido e ho provato anche la monoposto elettrica. Posso assicurare che per ognuna di loro ci vuole uno stile diverso».

Audi è partita piano nella scorsa stagione, nella seconda parte invece è stata l’auto e il team più forti. Che cosa ha innescato questo salto in avanti?
«Due ragioni. La prima è tecnica perché avevamo avuto problemi con l’inverter e nell’affidabilità. La seconda è stata l’adattamento del personale Audi, che proveniva da altri tipi di competizioni, all’interno del team. Dopo la vittoria in Messico abbiamo capito quale era il modo migliore di lavorare e abbiamo fatto un grande finale di stagione».

Perché guidare una monoposto di Formula E è così difficile anche per un pilota di esperienza e talento?
«Perché il pilota deve fare a meno di cose alle quali è abituato: non può provare prima, non c’è deportanza e ha le stesse gomme per ogni tipo di clima e asfalto. E poi c’è la gestione dell’energia: devi essere capace di andare al massimo finendo la gara».

Qual è la cosa più importante per un pilota di Formula E in particolare?
«La capacità di guidare, di andare forte e correre la gara strategicamente traendo il massimo dalla vettura. Inoltre, più della velocità pura, ci vuole capacità di combattere in gara, ma devi anche essere rapido in qualifica perché, se parti indietro, devi fare più sorpassi e ci vuole più energia».

La competizione è molto serrata e sarà ancora più dura con l’arrivo di Porsche e Mercedes. Che cosa succederà il prossimo anno?
«Per ora pensiamo a questo campionato. I 4 migliori team sono separati da 3-4 punti e il prossimo anno ci saranno altri concorrenti molto forti, ma questo è il motivo per cui siamo qui: la competizione spinge la ricerca e lo sviluppo».

Qual è, secondo te, il futuro del motorsport considerando l’impatto che la Formula E sta avendo su tutto il movimento?
«Secondo me, alcune categorie del motorsport saranno sempre collegate allo sviluppo delle tecnologie per le auto di serie e la Formula E è una di queste. Credo che ogni categoria abbia il proprio DNA e sia importante comprenderne la specificità: la 24 Ore di Le Mans e la Formula E significano apertura verso le nuove tecnologie. La Formula 1 invece deve un po’ ritrovare il suo DNA».

Quali sono le aspettative per l’E-Prix di Roma e per la seconda parte della stagione?
«Roma è una delle città più belle dove correre e il suo circuito è molto difficile perché è tra i più lunghi, ha 21 curve, alcune lentissime, alternate a tratti molto veloci e questo rende molto difficile la gestione dell’energia. L’anno scorso abbiamo concluso secondi e quarti, un buon risultato ma speriamo di fare meglio perché da qui inizia la parte europea del campionato e credo che nelle prossime 2 o 3 gare ci sarà la selezione decisiva per la vittoria finale».
 

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Sabato 13 Aprile 2019 - Ultimo aggiornamento: 19:10 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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